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Frank Wiedemann:"L'AI non mi fa paura"

Frank Wiedemann è una figura visionaria della musica elettronica e incarna uno spirito di innovazione, connessione e tradizione.



Con radici nella minimal house e uno stile che abbraccia techno, jazz e colonne sonore cinematografiche, il lavoro di Wiedemann esplora i confini del suono, mantenendo un profondo rispetto sia per il calore analogico dei sintetizzatori vintage sia per le possibilità creative offerte dagli strumenti digitali contemporanei. Approccia ogni progetto con un mix di curiosità e consapevolezza, trasformando il suo sentire in un'esperienza immersiva oltre i generi.


Wiedemann ha rivelato la sua visione sul futuro della musica e della tecnologia, dimostrando un ottimismo radicato verso l'integrazione dell'IA e delle piattaforme digitali nei processi creativi. Per l'artista tedesco, la tecnologia è un potenziatore, non un sostituto; ha il potenziale per ampliare l’immaginazione artistica, ma richiede la scintilla guida dell’intenzione umana.


La sua visione della cultura club, sia come musicista che come appassionato, resta centrata sul potere trasformativo e collettivo della musica. W. prova una nostalgica ammirazione per l’essenza grezza, colorata ed espressiva degli spazi underground, dove prosperano la libertà e la diversità, e dove la musica diventa una forza unificante. Nel suo pensare, pur cambiando le tendenze, il cuore della cultura club – la sua capacità di offrire luoghi sicuri e inclusivi per la scoperta di sé – rimane senza tempo.


La carriera di F.W. riflette dunque una dedizione quasi filosofica alla musica, che trascende il rumore delle mode di massa per concentrarsi sull’essenza dell’espressione artistica.


Il suo lavoro continua a ispirare, invitando gli ascoltatori a percorrere un viaggio verso l’ignoto, a trovare bellezza sia nel familiare che nell'inatteso.



Andrea Ghidorzi: Frank, come pensi che questo lungo viaggio nella musica elettronica ti abbia aiutato a scoprire nuovi aspetti della tua interiorità e della realtà circostante?


Frank Wiedemann: Beh, penso che sia come in tutte le arti. Se sei aperto, non rimani mai bloccato. Cerco di essere il più aperto possibile, includendo il sapere e le esperienze che ho accumulato nel corso della vita. Le combino con ciò che è nuovo e con quello che accade intorno a me. Ho la fortuna di lavorare nei club e con tanti giovani. Mi tengono lontano dalla noia e, se divento troppo “vecchia scuola,” sono così gentili da darmi una spinta per tornare sul pezzo. Bisogna imparare dalle nuove esperienze.


A volte, mi guardo intorno nel mio studio e penso: “Wow, è tutta roba vecchia,” cosa che adoro perché tutta la musica che amo è stata creata con questo tipo di attrezzatura. Mi aiuta? Non lo so. È una risposta lunga, ma credo che tutto si ricolleghi al fatto che occorre essere pronti ad ascoltare nuove idee.


Parlando di nuove idee: No Time For Complication, un concept tratto da Shadow of Love (Innervisions), come dialoga con il mondo di oggi, segnato da conflitti e tensioni globali? Quale ruolo pensi che la musica possa giocare nella realtà attuale?


Penso che il ruolo della musica sia sempre stato variegato. È lì per intrattenere, per farci ballare, per farci divertire, per trasmettere emozioni e memorie.


La musica è uno strumento molto potente; ci sono canzoni che mi ricordano i miei genitori o situazioni dell’infanzia, e i ricordi tornano vividi quando le ascolto.

La musica è anche scoperta. Continuo a scoprire molta musica nuova, ma anche più vecchia che non avevo mai sentito prima. Alla fine, è un linguaggio universale, e credo debba riguardare l’amore, o almeno spero sia così.


Sì, lo speriamo...


Credo che la musica sia una fortissima emozione. Ovunque vada, voglio trasmettere il mio amore per essa e per le persone. I conflitti di oggi sono molto complessi, ma anche molto rumorosi—ci sono tante persone convinte di avere ragione e lo gridano a gran voce. Forse posso fare una dichiarazione più forte con la mia musica e con l'amore che provo. Sono una persona positiva.


I conflitti hanno sempre accompagnato l'umanità, solo che prima non ce ne accorgevamo tanto, prima di avere piattaforme come Twitter e i social media. Non dico che queste piattaforme siano negative, ma ci mostrano decisamente tanto dell'umanità.

L'umanità è una specie strana, come dice sempre mia moglie—"Questo è il materiale con cui dobbiamo lavorare".


Abbiamo bisogno di più amore e soprattutto più umanità...


Assolutamente. Ma è difficile da ottenere quando dominano soldi e potere.



Amore e umanità sembrano temi ricorrenti all'interno della tua etichetta, Bigamo - uno spazio intimo, in cui poter essere se stessi. Cosa rappresenta per te questa realtà e quali sono le principali connessioni e differenze con Innervisions?


Negli anni, mi sono sempre più allontanato dal DJing. Non che detesti i brani da DJ; amo ancora la musica da club, ma non sento più la stessa connessione con il lato commerciale. Kristien e Steffen si occupano della gestione commerciale di Innervisions, ma continuo a ricevere musica da amici, musica che amo.


Bigamo è nata come un modo per dare spazio agli amici e alla musica in cui credo.

Non è musica da club in senso stretto, ma potrebbe essere suonata anche lì. È sempre stata una questione di libertà e di esplorazione di diversi aspetti della musica elettronica.


Quindi è uno spazio aperto, dove ognuno può esprimere qualcosa della propria vita...


Sì, esattamente. Bigamo è una piattaforma dove le persone possono coinvolgersi e collaborare. Facciamo spettacoli occasionalmente, e riguarda anche il connettere le persone. Gestivo un piccolo festival chiamato Sacred Ground, dove gli artisti dell'etichetta potevano esibirsi insieme. Era un luogo di collaborazione e connessione.


Si tratta quindi di connessione, giusto? Una connessione che, oggi, la musica vive sempre più intensamente con il design e l'arte visiva. Ritieni che questa sinergia tra mondi artistici sia fondamentale?


Penso che sia estremamente importante. Ho lavorato come grafico per circa quindici anni. Mi piaceva davvero e ci ho costruito una carriera, ma a un certo punto la musica ha preso il sopravvento. Non ero il miglior grafico del mondo, ma facevo del mio meglio. Sono felice di aver passato il testimone ad altri che sono più bravi di me.


Ma ho ancora un forte legame con il design, la fotografia e tutte le forme d’arte.

Sono davvero felice di aver trovato qualcuno con grandi capacità per i nuovi design. Non so se hai visto i lavori recenti. Le foto sono state scattate dalla mia cara amica Gioia de Brujin, una fotografa super talentuosa. È in pausa maternità al momento, sta crescendo i suoi figli, ma ha un enorme archivio di foto incredibili che ci ha gentilmente messo a disposizione. Gliene sono davvero grato. Ho fatto il design grafico, ma ora è il momento di fare qualcosa di nuovo.


Penso che la nuova direzione sia molto interessante...


Sì, siamo davvero entusiasti di questa nuova direzione colorata. Ruby Ya Wen Li è un'artista straordinaria.



Cosa ne pensi della tecnologia, oggi? Gli strumenti digitali pensi che possano espandere l'immaginazione degli artisti o c'è il rischio che tutto diventi disumanizzato?


Se parliamo di IA, è un argomento ampio. Ma in generale, non ne ho paura. Penso che ci siano molte opportunità. Tutti cercano di usarla per tutto, anche per fare arte.


Personalmente, non ho ancora visto nulla creato dall’IA che mi abbia davvero emozionato. Ma questo potrebbe cambiare. Rimango aperto.

Ho sentito dire da qualcuno, forse era Questlove, che l’AI è un po' come l'autotune. All'inizio era polarizzante, ora è comune, ma serve comunque un cantante per usarla. Con l'AI, penso che ci vorrà sempre qualcuno che dia la scintilla o che contestualizzi ciò che produce.


Mi piacerebbe poter usare uno strumento dove posso inserire qualche bozza e farmi aiutare a sistemare il pezzo. Sto ancora aspettando qualcosa del genere, perché ho tante bozze.


Non sarebbe male...


Io sono un po’ vecchia scuola da un lato, ma cerco di rimanere anche nuova scuola. Provo cose nuove, sebbene non così radicalmente come, ad esempio, Richie Hawtin.

Cerco sempre di trovare l’essenza, e a volte basta un pianoforte.

Il pianoforte è sempre grandioso. Hai un synth preferito in questo momento?


Negli ultimi dodici mesi direi che ho usato di più l'ARP 2600. Ho comprato la riedizione due anni fa, e ancora lo sto esplorando. Il suono è semplicemente incredibile. Mi piace molto anche l'ARP Omni, una string machine con preset e qualche opzione aggiuntiva.


Trovare il suono giusto è sempre divertente...


Sì, è divertente esplorare, ma anche dopo anni tutto sembra nuovo. Con i setup modulari, si può rimanere bloccati perché ci sono troppe opzioni. È un lavoro difficile trovare l'essenziale.



Un esploratore alla ricerca dell'essenziale, tra nuove strade e realtà. A proposito di realtà—molte stanno chiudendo, come il Watergate. Pensi che sia la fine di un'era o l'inizio di una nuova alba?


I club e le feste esisteranno sempre. Nell'ultimo decennio, i club sono passati da luoghi piccoli e "cool" a grandi venue ed eventi, un po' come è successo con l'hip-hop negli anni '90. Non giudico, perché le grandi venue danno opportunità, ma continuo a cercare luoghi in cui l’atmosfera sia intima e dove le persone non siano concentrate solo sull’apparenza.


Vuoi quella sensazione originale di un club come luogo per esprimersi, dove le persone sono diverse e si sentono al sicuro. I club sono sempre stati colorati ed espressivi. Un posto dove connettersi con la musica, come una chiesa.

La chiusura di molti club segna la fine di quell’era. Ma vedo nuovi club aprire, alcuni finanziati, il che non è necessariamente negativo.


Il Watergate, per esempio, ha costi d’affitto altissimi e chi lo gestisce è lì da tanto tempo. Le persone fanno festa in modo diverso adesso, e alcuni non bevono, il che incide sul guadagno delle vendite. È un ciclo naturale. La chiusura potrebbe sembrare una fine, ma è piuttosto un rinnovamento. Il Covid ha anche avuto il suo impatto, e stiamo ancora vedendo gli effetti. Penso che tutto questo faccia parte di quel rinnovamento.


Un’ultima domanda, poi ti lascio tornare alla tua musica. Come immagini il tuo futuro? Quali sono le tue speranze per il domani?


Salute, amore, più musica, crescere i miei figli, restare curioso.

Stay curious.


Sì, credo sia la cosa più importante. E dare sempre qualcosa in cambio.



E per quanto riguarda il mondo della musica?


Non ho paura per la musica—ci sarà sempre. La mia unica preoccupazione è che la produzione di massa di musica dal suono simile possa oscurare la diversità musicale.


La musica potrebbe diventare qualcosa di così comune che finiamo per ignorarla, come un rumore di fondo.

Ma chi la apprezza, come con il buon cibo, cercherà sempre la qualità. Quindi, nessuna paura per il futuro della musica.


Grazie, Andrea.


Grazie mille, Frank. Spero di incontrarti nuovamente presto.


Sì, accadrà sicuramente. Buona giornata e grazie ancora.



ENGLISH VERSION



Frank Wiedemann: "I'm not afraid of AI"


Frank Wiedemann is a visionary figure in electronic music, embodying a spirit of innovation, connection and tradition.


With roots in minimal house and a style that embraces techno, jazz, and cinematic soundscapes, Wiedemann’s work explores the boundaries of sound, preserving a deep respect for both the analog warmth of vintage synthesizers and the creative possibilities of contemporary digital tools. He approaches every project with a blend of curiosity and mindfulness, transforming his emotions into an immersive experience that transcends genres.


Wiedemann has shared his vision for the future of music and technology, revealing a grounded optimism about integrating AI and digital platforms into creative processes. Technology is an enhancer, not a replacement; it has the potential to expand artistic imagination but requires the guiding spark of human intention.


His perspective on club culture, both as a musician and an enthusiast, remains centered on the transformative, collective power of music. Wiedemann holds a nostalgic admiration for the raw, vibrant, and expressive essence of underground spaces where freedom and diversity thrive, and where music becomes a unifying force. Despite shifting trends, the heart of club culture—its ability to provide safe, inclusive spaces for self-discovery—remains timeless.


This career reflects an almost philosophical dedication to music, transcending the noise of mass trends to focus on the essence of artistic expression. He continues to inspire, inviting listeners on a journey toward the unknown, finding beauty in both the familiar and the unexpected.



Andrea Ghidorzi: Frank, how has this long journey through electronic music helped you explore new aspects of your inner self and gain a deeper understanding of the world around you?


Frank Wiedemann: Well, I think it’s like in all art forms: if you stay open, you'll never get stuck. I try to be as open as possible, incorporating the knowledge and experiences I’ve accumulated throughout my life. I combine these with what’s new and what’s happening around me. I’m fortunate to work in clubs and alongside many young people. They keep me from getting bored, and if I get too “old school,” they’re kind enough to give me a push to stay on top of things. You have to learn from new experiences.


Sometimes, I look around my studio and think, “Wow, this is all old gear,” which I love because all the music I admire was created with this type of equipment. Does it help me? I don’t know. It’s a long answer, but I think it all comes back to being ready to listen to new ideas.


Speaking of new ideas: No Time For Complication—a concept drawn from Shadow of Love, a track released on Innervisions—how does this resonate with today’s world, shaped by conflicts and wars? What do you think the role of music is in the current reality?


I think music has always played a multifaceted role. It’s there to entertain, to make us dance, to let us have fun, and to convey emotions and memories.


Music is a very powerful tool; there are songs that remind me of my parents or moments from my childhood, and those memories become vivid when I listen to them again.

Music is also about discovery. I keep discovering a lot of new music, but also older music I’ve never heard before. Ultimately, it’s a universal language, and I think it should be about love—or at least, I hope it is.


We hope so too...


I believe music is a deeply emotional force. Wherever I go, I want to share my love for music and for people. Today’s conflicts are very complex, but they’re also very loud—there are so many people convinced they’re right and shouting about it. Perhaps I can make a stronger statement with my music and with the love I put into it. I’m a positive person.


Conflicts have always been a part of humanity; it’s just that we didn’t notice them as much before platforms like Twitter and social media existed. I’m not saying these platforms are bad, but they certainly show us a lot about humanity.


Humanity is a strange species. As my wife always says: “This is the material we have to work with.”


We need more love, and above all, more humanity...


Absolutely. But it’s hard to achieve when money and power dominate.


Love and humanity seem to be recurring themes within your label, Bigamo—a personal space where people can truly be themselves. What does this project represent for you, and what are the main connections and differences with Innervisions?


Over the years, I’ve gradually distanced myself from DJing. It’s not that I dislike DJ tracks—I still love club music—but I no longer feel the same connection with the commercial side of things. Kristian and Steffen handle the business side of Innervisions, but I still receive music from friends, music I love.


Bigamo started as a way to provide space for friends and for music I believe in.

It’s not strictly club music, though it could be played there too. It has always been about freedom and exploring different aspects of electronic music.


So it’s an open space where everyone can express something personal from their lives…


Yes, exactly. Bigamo is a platform where people can engage and collaborate. We occasionally put on shows, and it’s also about bringing people together. I used to run a small festival called Sacred Ground, where label artists could perform together. It was a place of collaboration and connection.


It’s about connection, then. A connection that, today, music seems to increasingly share with design and visual art. Do you think this synergy between artistic worlds is important?


I think it’s extremely important.


I worked as a graphic designer for about fifteen years. I really enjoyed it and built a career out of it, but at some point, music took over.

I wasn’t the best graphic designer in the world, but I did my best. I’m happy to have passed the baton to others who are more skilled than me. But I still have a strong connection to design, photography, and all forms of art.


I’m really happy to have found someone with great talent for the new designs. I don’t know if you’ve seen the recent work. The photos were taken by my dear friend Gioia de Brujin, a super talented photographer. She’s currently on maternity leave, raising her children, but she has an enormous archive of incredible photos that she has kindly shared with us. I’m truly grateful to her. I worked on the graphic design, but now it’s time to explore something new.


I think the new artistic direction is really interesting…


Yes, we’re very excited about this colorful new direction. Ruby Ya Wen Li is an extraordinary artist. Her art is so open, funny, and sexy—it’s amazing.


What do you think about technology today? Do you believe digital tools can expand artists’ imagination, or is there a risk that everything becomes dehumanized?


When it comes to AI, it’s a broad topic. But in general, I’m not afraid of it. I think there are many opportunities. Everyone is trying to use it for everything, including creating art.


Personally, I haven’t seen anything created by AI that truly moved me yet. But that could change. I stay open-minded.

I heard someone say—maybe it was Questlove—that AI is a bit like autotune. At first, it was polarizing, but now it’s common, and yet you still need a singer to use it. With AI, I think there will always be a need for someone to provide the spark or to contextualize what it produces.


I’d love to have a tool where I could input some drafts and get help refining them. I’m still waiting for something like that because I have so many drafts.


That wouldn’t be bad…


I’m a bit old school in some ways, but I also try to stay new school. I experiment with new things, though maybe not as radically as, say, Richie Hawtin.

I always try to find the essence, and sometimes all you need is a piano.


The piano is always great. Do you have a favorite synth right now?


Over the past twelve months, I’d say I’ve used the ARP 2600 the most. I bought the reissue two years ago, and I’m still exploring it. The sound is just incredible. I’m also a big fan of the ARP Omni, a string machine with presets and a few extra options.


Finding the right sound is always fun…


Yes, it’s fun to explore, but even after years, it all still feels new. With modular setups, you can easily get stuck because there are too many options. It’s hard work finding the essentials.

An explorer in search of the essential, navigating new paths and realities. Speaking of realities—many clubs are closing, like Watergate. Do you think this marks the end of an era or the dawn of a new beginning?


Clubs and parties will always exist. Over the last decade, clubs have transitioned from being small, “cool” spaces to large venues and events, much like what happened with hip-hop in the ’90s. I’m not judging because big venues create opportunities, but I’m still drawn to places where the atmosphere feels intimate, and people aren’t just focused on appearances.


You want that original feeling of a club as a space for self-expression, where people are diverse and feel safe. Clubs have always been colorful and expressive—a place to connect with music, like a church.

The closure of many clubs does feel like the end of that era. But I also see new clubs opening, some with financial backing, which isn’t necessarily a bad thing.

Take Watergate, for instance. It has incredibly high rental costs, and the people who run it have been doing so for a long time. People party differently now, and some don’t drink, which affects revenue from sales. It’s a natural cycle. The closure may seem like an end, but it’s really a renewal. Covid has had its impact too, and we’re still seeing the effects. I think all of this is part of that renewal.


One last question, and then I’ll let you get back to your music. How do you envision your future? What are your hopes for tomorrow?


Health, love, more music, raising my kids, staying curious.


Stay curious.


Yes, I think that’s the most important thing. And always giving something back.


What about the music world?


I’m not afraid for music—it’ll always be there. My only concern is that the mass production of similar-sounding music overshadows the diversity in music.


Music might become something so common that we overlook it, like background noise. But those who appreciate it, like with good food, will always seek quality.

So, no worries about the future of music. Thank you, Andrea.


Thank you so much, Frank.




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